mercoledì 12 novembre 2014

PLEASANTVILLE – ZENTE NOSTRA 2014



Pleasantville_Zente Nostra è un progetto in divenire.


A Dorgali ci si saluta tutti, anche se non ci si conosce nel Profondo, ci salutiamo come segno di appartenenza alla Comunità. A Dorgali per un attimo ci si guarda negli occhi e ci si saluta, ci si conosce “tutti” come personaggi, per via del proprio ruolo, dell’auto che si guida o per i gesti plateali che si scoprono sulla carta stampata; e c’è un’esaltazione di orgoglio collettivo nel momento in cui qualche dorgalese riesce a far parlare di sé anche oltre il Territorio, magari nel Continente o in America. Diventiamo tutti curiosi e un po' fieri del traguardo raggiunto, naturalmente in tutto questo c’è un pizzico di invidia che serve ad aumentare la competizione e a spronare dal torpore chi desidera emergere. Paradossalmente oggi attraverso internet si scoprono angoli preziosi di cui non conoscevamo l’esistenza, e quell’avventura, quel traguardo, quella vita segnata acquista forma in un volto in Pleasantville. I personaggi di Pleasantville divengono come gli eroi di un mondo quotidiano, memoria di aneddoti e commozione nel ricordo di quello che la semplicità può donare. In Pleasantville non esiste né il tempo né lo spazio, esiste solamente un eterno Qui e Ora dove convivono bambini, giovani, anziani e angeli.

L’idea di Pleasantville sta proprio nella costruzione di una comunità online fatta dagli sguardi di un piccolo paese della Sardegna. Come a voler riunire nel Macrocosmo (internet) il Microcosmo (la comunità dorgalese). Con questo progetto spero di riuscire a cogliere l'idea di intimità che si respira in un paese. Così vado in giro per Dorgali con la macchina fotografica a cercare di carpire dove si annida la memoria e portare a casa l’attimo che mi servirà per realizzare il ritratto. Mi piace l'idea di immaginare e poi conoscere l'ipotetica vita del personaggio, di entrare empaticamente Dentro il personaggio che voglio ritrarre e carpirne lo sguardo, il suo movimento interiore, le sue emozioni. Cerco di canalizzare quell’onda di forma, la vibrazione di quel volto e poi la faccio scivolare sulla carta. Poco alla volta, mentre inizio ad abbozzare gli occhi, il volto scompare e i colori dell’iride si accendono e diventano Altro, le rughe e i segni diventano paesaggio capovolto, ruotano e si manifestano sul piano. Ogni tanto esco dal flusso e l’osservo, quel paesaggio diventa quell’uomo leggermente accigliato, che ti osserva e forse domanda qualcosa, allora lo riconosco, è Lui e non un Altro. Conoscersi e Riconoscersi è un percorso delicato. Il volto è memoria, onda di forma di quel trambusto emozionale che soltanto l’evocazione di quello sguardo può donare.



P L E A S A N T V I L L E _ Z E N T E  N O S T R A


A cura di Laura Rabottini
Dorgali dal 22 Settembre al 2 Ottobre 2012

Prendendo il via dalla storia della propria terra, Simone Loi ci conduce attraverso un percorso fatto di volti e sguardi ricercati nella sua quotidianità ed espone con intensa e simbolica variazione di tratti una verità sociale e individuale intrisa di riflessioni sulla profondità umana. Nasce così Pleasantville, l’alter ego di una città reale, un piccolo universo tracciato secondo le consuetudini di una vita condivisa da chi vi alberga, una comunità fatta di volti amichevoli  le cui numerose individualità si intrecciano per esibire una appartenenza vicendevole, una storia sotterranea raccontata attraverso la curiosa vivacità dello strumento grafico. Il disegno infatti immortala le espressioni e si configura come mezzo efficace a restituire con l'appropriata versatilità della tecnica un multiforme universo di realtà interiori ed esteriori.
Il segno si dimostra duttile nel ripercorrere le forme soggettive delle individualit
à costruite e rileva la temperatura emozionale di ognuna oscillando fra durezza e leggerezza di stesura.
L'uniformit
à di ogni soggetto si compone attraverso l'unione della composizione generale e del gusto per il particolare, che si coniugano per comporre l'autenticità somatica nell'attimo in cui il pensiero ne completa e arricchisce la definizione. La ricchezza del contenuto simbolico in ogni singolo soggetto emerge dunque dalla contingenza della verità espressiva, e tramite le improvvise emersioni cromatiche e i giochi di luce si riversa sui nostri sguardi nelle fattezze di un mondo composto di pensieri e corpi. L'insistenza del disegno non intende tralasciare lo spazio che circonda ed edifica le figure per contrasto, piuttosto se ne serve per sfruttarlo quale elemento indispensabile a completare la comunicazione dell'opera: lo spazio materializza il pensiero di chi si espone sul foglio e fluttua tutto intorno come l'ultima estensione di sguardi colorati che migrano verso l'alto per raccogliere la loro profondità e ci scrutano con ingenuità per rivelarsi nel loro eccesso di verità somatica. A volte il colore si riscopre padrone della scena e interpreta i soggetti ritratti formulando codici di emozioni improvvise e sfuggenti: uomini e bambini reinventano curiose verità interiori e sfoggiano fragilità sopite che si ricompongono negli afflati cromatici, mentre la bellezza sfiorita della femminilità riscatta le proprie sconfitte attraverso un orgoglio antico in cui il colore è veicolo di fascino sempiterno. Infine, la disposizione asimmetrica dei soggetti gioca un ruolo da protagonista per suggerire che lo spirito immerso nella materia può sempre essere oggetto di nuove e impensate letture interpretative. L'inattesa modalità di inserimento della figura sfrutta la portata simbolica di una asimmetria ricercata e densa di segnali,e  conclude un viaggio  mentale, dove  colori,  luci e pensieri guidano  l'intangibilità dell'animo a ricongiungersi con la bellezza, spesso insolita, dell'immanenza umana.




S I M O N E   L O I

22-10-2010 _ 31-10-2010
PLEASANTVILLE – ZENTE NOSTRA

Uno sguardo su Plaesantville…

I ritratti di Simone parlano al cuore. Hanno sguardi liquidi, che appena tingono d’oro e pastello la linea discreta della matita, precisa come il tempo sui volti, lieve come dita che li accarezzano.
Tutt’intorno velano l’aria di nostalgia, di una certa poesia antica che viene da lontano e protende le figure sulla soglia dell’infinito. Così divengono volti sospesi oltre il tempo, non il respiro di un attimo, ma l’espressione di un’emozione universale, condivisa, venata di malinconia. E di un sapere interiore. E di un impercettibile sorriso, che indugia sulla luce degli occhi, sull’accenno di rosa posato sulle labbra. Così ci si sente chiamati per nome, svelati nel ricordo dell’infanzia, nel nostro desiderio di uno sguardo clemente, di un rifugio in cui riposare l’affanno. Ci si sente a casa.
Pare quasi di tornare indietro, verso un altro sé più profondo e più vero, verso l’appartenenza alla terra e il volo del sogno. Vi è come una consolazione, allora, in queste ombre e in queste luci, come un’aria d’autunno che fa sentire fragili e al contempo umani, dunque teneri, struggenti.

Poi il Mare.

Roberta Sale




Questi ritratti in sanguigna rappresentano i VOLTI DELLE MIE RADICI, sono i miei trisavoli, bisnonni e nonne. Tutto questo ha un senso preciso: restituire il volto e il valore degli antenati riportandoli nella comunità dopo che il tempo gli aveva lasciati nelle mani dell'Oblio. questa azione così semplice è molto potente perché va smuovere energie, emozioni, che stanno all’interno nel cuore della famiglia di appartenenza del volto ritratto. Emerge così una sensazione di “ritorno a casa”, in alcuni casi ho come riconsegnato ai miei committenti, attraverso il volto del loro antenato, una parte del loro albero genealogico, una radice profonda da ricoprire e da riaccogliere nel Clan. Qualcosa del genere accede nelle “costellazioni familiari”, studiando per diventare naturopata ho toccato con mano la potenza inconscia del Clan, rievocando l’antenato e i suoi vissuti ci rendiamo conto quanto questo “passato” sia presente nella nostra vita quotidiana e come ci influenzi negli atteggiamenti, nelle paure, nel modo di pensare secondo il modello del clan, così restituendo il valore alle nostre radici accade qualcosa di magico, è come se ritorni la pace dentro al cuore. Alle volte un semplice ritratto se fatto con INTENZIONE va oltre il gesto tecnico di somiglianza con il modello da ritrarre e acquista quasi caratteri trascendentali.










































































martedì 12 marzo 2013

LE PROIEZIONI DEGLI ADULTI E IL NOSTRO PROGETTO SENSO


 “ Chi sono io? Da dove vengo? Dove sto andando? Qual è il mio senso?” Attraverso la data di nascita della persona si dipana il nostro “codice a barre”, ovvero un’architettura numerologica che descrive la struttura dell’individuo, una sequenza di numeri che indicano come e dove siamo edificati e ci permettono di vedere su quale terreno genealogico poggiano le fondamenta del nostro edificio interiore. Scrutiamo così stanze che indicano atteggiamenti, memorie, dinamiche, conflitti della persona e allo stesso tempo i talenti per poterle osservare, accettare e portarle in struttura, ovvero accettare se stessi e non mettere più attrito tra di Noi e la Matrice. Una considerazione fondamentale è scoprire che “Noi non siamo Noi”, ovvero quello che noi crediamo di essere, le nostre credenze, il nostro status sociale, il nostro lavoro, la nostra personalità è forgiata da delle dinamiche inconsce che rispondono al nostro Albero Genealogico e, ad un ottava superiore, da memorie karmiche che si manifestano quotidianamente nelle nostre “scelte”, o meglio nelle nostre “non scelte” in quanto spesso si è trascinati dalla vita a percorrere strade che sono frutto di spinte date dal nostro clan di appartenenza. Nel giorno di nascita un bambino viene al mondo caricato di un senso, che non è suo, ma quello dei suoi genitori che a loro volta hanno ereditato dai propri genitori. Questa data non è causale, ma è determinata da una costellazione di avvenimenti - shock, vissuti da un genitore, da uno dei nonni, a volte anche da generazioni precedenti, e questo può essere trasmesso e passato di generazione in generazione causando sintomi comportamentali o fisici in un discendente. Quindi capire la propria struttura, le memorie che ci portiamo appresso è fondamentale per conoscere il Progetto genitoriale e iniziare un percorso di osservazione atto a trasgredire il Progetto genealogico pur conservandone il Senso. Ecco che allora si parla di Progetto Senso della nostra vita, ovvero questi è la buona soluzione alla problematica dei nostri genitori durante i nove mesi prima del concepimento, i nove mesi di gestazione e i primi nove mesi di vita, per un totale di 27 mesi. Trasgredire il Progetto e conservarne il Senso vuol dire Conoscere Se Stessi, assumersi la responsabilità della propria Funzione, senza più essere in balia degli eventi e delle memorie. Conoscere il proprio Progetto Senso consente di essere presenti a se stessi, di assumersi le responsabilità rispetto al proprio Talento e di metterlo in funzione andando altre la propria sfera personale, per certi versi è come se ci distaccassimo dalla nostra personalità per agire solo la nostra Funzione, qualcosa che è prettamente nostra e diversa da individuo ad individuo. Aderire al proprio Progetto Senso consente di non fare più attrito con quanto si manifesta quotidianamente ai nostri occhi, perché tutto quello che accade all’esterno non è altro che lo specchio di ciò che avviene interiormente, ogni evento è il manifestato di una parte interiore che va osservata e alla quale occorre dare una risposta, ogni risposta aiuterà a sciogliere ed ad alleggerire il conflitto, prima in ambito biologico poi con la consapevolezza ad un livello spirituale. La sequenza numerologica si impregna così dell’energia archetipica degli Arcani Maggiori e delle vibrazioni delle Lettere Ebraiche andando così a svelare il dialogo silenzioso delle Memorie che rimuginano nel nostro inconscio. Attraverso la Mappa scopriamo essere i frutti del nostro albero genealogico, così generazioni influenzano generazioni, sequenze emozionali non concluse che si ripetono e persone in balia della Vita come barche nella tempesta.. eppure la soluzione è lì di fronte a loro, o meglio Dietro di loro, noi siamo i frutti di un albero antico, abbiamo lo stesso sangue, le stesse memorie, le stesse credenze e oggi più che mai conoscere il proprio albero genealogico e le sue dinamiche è fondamentale per conoscere se stessi. Henri Laborit, J. C. Badard, A. Jodorowsky, fino a C. Jung e all’Alchimia, numerologia, kabbalah tutto ci parla di un Albero Sacro che va conosciuto e integrato, per poter fare Luce nel Buio e ritornare a vedere LE STELLE.. consapevoli del proprio Progetto e del Senso su questo Piano.. sta tornando il tempo della riconciliazione tra Scintilla e Corpo, tra malattia ed emozione, dove vengono abbattute le barriere delle credenze e finalmente oltre che con gli occhi si inizierà a vedere ed ad ascoltare le persone con il Cuore!     



Simone Loi ©
Work in progress: Le proiezioni degli adulti sul Futuro.
Ovvero come rimane imprigionati in un ruolo che non ti appartiene.
2013, grafite e pastello su carta, ombra che incombe su fotografia. 
(Modello: ognuno di Noi)








mercoledì 5 settembre 2012

SOTTO IL SEGNO DI LILITH _ 2013


S I M O N E   L O I

Sotto il segno di LILITH

Il progetto Sotto il segno di Lilih nasce dal desiderio di dare un volto alla prima donna dissidente del Mito. Lilith fu la prima sposa di Adamo, combatté per i suoi diritti e per questo suo andare contro l’ordine costituito dal Padre fu punita e maledetta. Oggi come allora la dinamica rimane invariata, la donna che si oppone al volere dell’uomo viene maltrattata, punita, uccisa. Questo accanimento contro la donna accade perché il potere di Lilith è enorme, è un potere che non si può piegare, è un potere che mette a nudo le debolezze e il lato oscuro dell’uomo, incapace di guardarsi dentro e accettare le sue paure e fragilità. Il dilagare del femminicidio è la testimonianza della miseria interiore dell’uomo, che oppone alla sacralità della donna la forza bruta della violenza, mancando completamente il bersaglio dell’accettazione di se stesso.
Questo progetto chiama ad adunata tutte le Lilith che danzano in questa terra, tutte le donne che vogliono gridare basta alle violenze e abusi. Lilith vive dentro ognuno di Noi, è la forza più potente che abbiamo e per questo vi invito a metterla in mostra.
Per realizzare questo progetto vi invito ad incarnare Lilith e a ritrarvi attraverso un autoscatto. Incarnare Lilith vuol dire guardare nell’Abisso, e questa è una sfida ardua che porta alla conoscenza di se stessi. Queste foto diventeranno il corpo sacro di Lilith e verranno esposte all’interno di un non-luogo, creando un Tempio dedicato alla dea. Vorrei che i mille volti di Lilith echeggiassero in questo spazio.
In questo progetto non esiste bello o brutto, giusto o sbagliato, ma la consacrazione di una Donna-Dea che combatte per i suoi diritti. Siate dee

Come Partecipare:
Per poter partecipare al progetto Sotto il segno di Lilith basta inviare la richiesta alla casella di posta elettronica loisimone@hotmail.com e riceverai la liberatoria con i termini del progetto. Lo scatto deve pervenire in buona-alta risoluzione alla casella di posta elettronica accompagnata dalla liberatoria per l’uso della fotografia, questa deve essere compilata e firmata in ogni sua parte. Una volta pervenute queste faranno parte del progetto e pertanto l’autore-autrice della foto cede i diritti di utilizzo in contesti come mostre, concorsi ed eventi pubblici etc. L’autoscatto è il mezzo fondamentale per ritrarsi senza l’intervento di un punto di vista esterno al soggetto, desidero che la persona sia sola con la macchina fotografica e si lasci andare davanti all’obiettivo.
Grazie
Simone Loi

Ecco alcune immagini che sono pervenute, grazie a tutte le LILITH








AUTORITRATTI_ BAMBINO INTERIORE 2013


Il progetto Autoritratti_Bambino Interiore è una serie di disegni su cartoncino realizzati a pastello, gessetto e grafite. L’intento è di indagare la Nostra società, la Nostra quotidianità, i Nostri paradossi, mettendone in scena alcuni aspetti intimi. Mettere a fuoco la Fragilità della vita di tutti i giorni, ritraendo non il sé dell’artista, il suo volto come terreno di indagine introspettiva,  ma la vita che ci circonda, che si rivela e si mostra nelle sue storture, autoritratto di quello che c’è per strada come riflessione su ciò che stiamo vivendo. Ogni autoritratto è una storia, la storia di una metamorfosi, come una piccola rivelazione del quotidiano, si incontrano così donne fragili che diventano bambole rotte e a pezzi, soldatini di plastica che sparano con armi reali, bambini che stringono una coperta come se stringessero tutto il bisogno di sentirsi protetti e amati, pinocchi dal volto umano stanchi delle bugie che affollano le stanze del potere.
In questo regno di finzione il microcosmo del giocattolo svela la fragilità dell’adulto e del suo mondo plastificato.
 L’idea dell’autoritratto comporta il riflettersi criticamente, la messa a nudo che diventa al contempo rivelazione del lato oscuro. 

SELF-PORTRAITS
Self-portraits _ Inner Child is a project  consisting in a series of drawings on paper, realized with pastels, chalks and graphite. Their purpose is to question Our society, Our everyday life and Our paradoxes by enlightening some of their hidden features. They focus  on our life’s frailty and they do not depict the artist’s self, they do not represent the artist’s face as an inner ground of investigation, but they choose to portray life itself. Life that surrounds us in all its deformations, self-portrait of what’s on our paths as a reflection on what we are living. Every self-portrait is a story, the story of a metamorphosis and a little revelation of everyday life. Each of them is a place where you meet frail women that become broken dolls, plastic soldiers shooting with fake weapons, children holding a blanket to show their need of protection, pinocchios with human faces tired of all the lies that feed the power. In this universe, toys reveal the frailty of adults and their plastic world, while our self-portraits make us reconsider ourselves, critically, by revealing our dark side.





Pinocchio si libera del suo fardello, il suo naso si è plasmato di finzioni e bugie. Un gesto che dice basta alla classe politica e vorrebbe che i Burattini del Potere divenissero Umani.


Il piccolo Linus che si nasconde dentro di Noi, fragile portatore di saggezze ed infinito bisogno di carezze e certezze. L’innocuo e disperato bisogno di sentirsi dire che Tutto Va Bene.




Bambola Fragile rappresenta il tentativo di ricostruire un rapporto che è andato a pezzi, in una poetica del dolore interiore che si nutre di rotture e malsani tentativi di ricomposizione.



Rappresenta l’attimo che precede l’indossare l’elmetto e scendere nel mondo del lavoro, quell’istante in cui raccogli le forze e ti concentri per non commettere errori, per essere efficiente e professionale.. ma alle volte, quell’Istante viene  a mancare e ti ritrovi sprovvisto della tua “armatura”, delle tue sicurezze, e ti senti fragile e insicuro come un bambino che non sa a cosa va incontro.. La nostra generazione vive sul baratro di un perenne inizio, eterni migranti che non possono mettere radici, eterni bambini.



Il Guerriero Sintetico Difensore della Libertà, ovvero la colassale menzogna che attraverso la guerra si possa esportare la Libertà del Popolo. Il Guerriero di plastica è figlio del Dio Petrolio, non ha coscienza,spara dove il Denaro dice di colpire e conquistare. Marionetta inutile.


L’isolamento come via di fuga dalla realtà che ci circonda.

 

Autoritratti.
Un’interpretazione:
di Roberta Sale

Questi non sono ritratti individuali, immagini al culmine della luce come quando una ragazza si trucca, si sente bella e si lascia immortalare per sempre nella propria giovinezza. Non sono le linee lievi con cui le dita di Simone ridisegnano il paese unito nel mito, nella poesia antica, nell’oro risoluto degli occhi.
Qui non siamo nei colori pastello di Pleasantville, dove il dolore era appena un solco tracciato sul viso, un’ombra leggera e familiare, che non recava turbamento.
Questi sono ritratti universali, che del mondo illusorio del gioco rintracciano il potenziale simbolico, l’inizio abissale della paura.  Nelle trame dell’infanzia, nella simulazione degli oscuri rituali adulti, nella ricezione di un mondo che accumula schermi e genera attaccamento insicuro, si riflette il germe distorto di una società inquieta, come sulla superficie liquida di uno specchio, ingresso al fondo sinistro.
Ci sono bambole, bambini, soldatini, fiabe, apparecchi multimediali.
Capelli rossi trascinati da un vento freddo che soffia da est, minaccia di tempesta, cuore scheggiato, impotenza del gesto, gambe forti divelte e scomposte, divaricate da una violenza maschile che prosegue a dispetto delle conquiste e spegne gli occhi delle donne guerriere, le rende giocattolo rotto, rubato dell’anima.
Sguardo triste di cucciolo bagnato che del suo mantello d’eroe fa improvviso rifugio, difesa di sogno in un mondo a misura di adulto, retaggio di fragilità che resiste, si annida nel cuore rimasto bambino.
Guerra di plastica, senza testa né onore, sempre più distante dallo scontro dei corpi e lo scambio degli occhi, dal codice antico che imponeva la tregua notturna e balenava la parola fratelli nella mente del compagno ferito, in ascolto del nemico apparente. Ora la guerra è strategia da lontano, automa sintetico senza pensiero. Ma la potenza del colpo è reale, così come la morte disseminata in silenzio in teatri poco illuminati.
Pinocchio alla fine della sua storia, quando si stanca del gioco, del diritto alla bugia leggera, innocua eppure tagliente come quelle di chi si arroga il potere infantile di rendere il mondo personale scacchiera. Burattino dal volto già umano, depone la fiaba di legno e si affaccia alla vita per come dovrebbe essere, alla via diritta dell’etica che ancora serpeggia sepolta.
Solitudine spessa, che cammina nell’isolamento di musica amica, rabbiosa, come schermo che protegge dal vento, dall’incomprensione adulta, dalla fatica dolorosa dell’incontro, dalle delusioni di un’identità arruffata e incerta, musica che esalta la ferita e così procura sollievo, musica che si accende segreta nell’ora fredda di lezione a suggerire il sogno e portare lontano. E si vorrebbe che uno sguardo sincero fin nel fondo che trema s’avvicinasse piano, scostasse le cuffie, trovasse parole di relazione autentica.
La nostalgia di un incanto perduto e l’amarezza di un tempo stravolto.
La galleria sembra proseguire le stanze ufficiali del palazzo, come ventre che si apre di lato e conduce a smarrirsi. Dai ritratti pastello di abitanti sereni, richiesti al pittore di corte e per questo gradevoli al cuore, continuando a camminare, nella luce che si abbassa e la fine che si perde nel buio, s’incontrano ritratti stonati, visioni oniriche di pittore inquieto ubriaco di quotidiano.  Ora le belle fanciulle hanno gli occhi vitrei dell’oltre amore e il gioco irrompe in mezzo alla vita a dirci forse che la realtà è sogno caotico e folle e il sogno pericolosa metafora del reale.
Ora il quadro ti restituisce lo sguardo, visitatore perduto che calpesti l’illusione del mondo.