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30.11.2010 _ accademiabelleartiurbino
Cari Amici, quando Franko B ha proposto il tema del VUOTO come progetto artistico mi ha messo in crisi. Per prima cosa ho cercato di visualizzare un’immagine che potesse contenere l’idea del vuoto e allo stesso tempo del suo contrario. Mi è venuto in mente un bicchiere che ho fotografato un po’ di tempo fa. La particolarità di questa fotografia stava nel fatto che non fotografavo la realtà, ma il suo riflesso. Nella pratica si tratta di un still life riflesso sul tavolo: con un gesto semplice ho ribaltato l’immagine e ho lasciato al riflesso il posto che nella quotidianità spetta all’oggetto reale. Il bicchiere ritratto apparentemente sembra pieno di vino ma guardando la sua ombra sul tavolo si nota che non c’è nessun liquido. Quello che noi vediamo come pieno non è altro che ciò che resta della presenza del vino, è quel che rimane attaccato al corpo del bicchiere, è il segno di un passaggio, quello che immagino possa essere la pienezza del vuoto. Avevo un’immagine mentale e ora non restava che cercare un corpo. Ho pensato al vetro e al suo “ruolo” nella nostra società. Il vetro è una materia potente… può essere distrutta e riplasmata, puòrinascere a nuova vita. Il vetro è solitamente un isolante, serve a contenere, a dividere ciò che sta fuori da ciò che sta dentro. È il materiale fragile per eccellenza. Pensiamo ai bicchieri e alla loro triste storia in Occidente: un bicchiere di vetro viene creato, viene usato e ha senso di esistere solo se è integro e può contenere qualcosa (il bicchiere pieno); se dovesse rompersi nessuno ne avrebbe cura, nessuno avrebbe la pazienza di ricomporre la sua fragilità e verrebbe gettato via. Ora proviamo ad immaginare questo oggetto e con un colpo secco frantumiamolo. Con questo gesto intenzionale abbiamo decostruito il senso e il ruolo dell’oggetto e ne abbiamo invertito il compito di contenere-isolare. Ricomponendo i pezzi del puzzle, il bicchiere incollato diventerebbe un altro oggetto finalmente libero di poter lasciare fluire il vuoto. Come dice un detto Zen Il vero vuoto di cui parlo è ciò che è libero da ogni ruolo e da ogni compito. Partendo dal corpo del vetro mi piacerebbe realizzare un lavoro che possa unire le persone tra loro. Vorrei coinvolgervi affinché ognuno di voi porti un oggetto di VETRO o l’IDEA DEL VETRO, questo oggetto vi deve appartenere e deve poter essere la metafora di voi stessi. Non abbiate paura e lasciate fluire le vostre idee… Insieme, nella data del 30 Novembre ad Urbino, inizieremo un dialogo, una riflessione, un punto di contatto e forse di frattura. Vi ringrazio e spero di vedervi numerosi, un abbraccio.
Riflessioni sull’Evento VETROVUOTO
L’Evento del Vetro-Vuoto credo sia andato ben oltre le mie aspettative in quanto il progetto ha assunto nel suo divenire delle tinte del tutto inedite. Si è svincolato dalla messa in scena di una performance dei singoli partecipanti ed ha abbracciato e coinvolto il pubblico in una esperienza scomoda ed intensa, assumendo delle connotazioni quasi teatrali.
Il prezzo da pagare in un evento del genere, dove entrano in collisione emozioni intime condivise in pubblico e silenzi imbarazzanti, è stato che “qualcosa è andato Oltre, oltre il sopportabile, qualcosa è scappato di mano, qualcosa ha perso il controllo” e questo non porre limite all’azione potrebbe essere visto come un fallimento. Io credo invece che la perdita di controllo nel divenire del progetto ha dato la vita al progetto stesso, in quanto la presenza del Vuoto è stata per certi versi brutale. L’Assenza e il silenzio ha creato un vuoto-pieno che ha scalfito i nervi di più di un presente in un turbinio di emozioni, in una esperienza collettiva di vuoto scomodo e asfissiante, intenso, violento, pesante, immobilizzante, ma riflessivo. L’assenza di un freno da parte mia ne ha decretato il fallimento e contemporaneamente ne ha sancito la riuscita. Ho sempre diretto i miei eventi fino ad un certo punto e ho lasciato il compito ai partecipanti di virare, interpretare, o sovvertire la linea tracciata da me affinché fossero loro il centro dell’evento. Affinché l’esperienza fosse qualcosa di collettiva, dinamica, in una continua predisposizione all’inaspettato. E così è stato grazie al coinvolgimento totale dei partecipanti al lavoro (che ringrazio di cuore), alla loro disponibilità nell’esporre i loro sentimenti, e soprattutto grazie all’amore viscerale verso il lavoro che hanno donato al progetto.
C’è stato donato sentimento.
Poi è arrivata l’Assenza, il Vuoto sulla sedia, e la scena è stata presa dal muto discorso di ognuno di noi seduto a terra. Il silenzio senza fine, che chiedeva di dire o fare qualcosa, in una attesa in cui nessuno di noi ha potuto dissociarsi dalla esperienza che stava vivendo.
A proposito di questa esperienza, leggendo Susan Sontag in “Sotto il segno di Saturno”, mi ha interessato la riflessione su Antonin Artaud. Sul Teatro della Crudeltà la Sontag dice: la “crudeltà” dell’opera d’arte non solo ha una funzione morale diretta, ne ha anche una conoscitiva. Secondo il criterio morale di conoscenza di Artaud, un’immagine è vera in quanto è violenta.Come a dire una esperienza estrema, pungente, violenta riesce ad abbattere il carattere contemplativo e innocuo dell’opera d’arte, scrolla il torpore annoiato del pubblico e permette all’opera stessa di poter colpire attraverso una esperienza conoscitiva.
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