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S I M O N E L O I
M O N D O D I P L A S T I C A
A cura di Laura Rabottini
Dorgali 24_08_2012 - 05_09_2012
Il potere di indagare
il sociale ritrova la sua più efficace espressione nel fertile linguaggio
dell’arte di Simone Loi. Le sue ricerche si muovono all’interno di orizzonti
quotidiani, dove volti, luoghi e storie descrivono la realtà di una esistenza
fragile, intima e violata dall’inconsistenza dei valori contemporanei.
Abbandonando i troppo facili intenti autoreferenziali dell’arte contemporanea,
Simone Loi avvicina la propria ricerca estetica al mondo di oggi e ai dolori e
alle brutture che produce, per dar vita ad un metaforico specchio sociale in
cui i rapporti umani sono un miraggio e il potere è strumento di devastazione.
La Primavera di Quirra, Metacity e Autoritratti compongono dunque gli strati e
le fasi di un universo costruito non sulla fantasia e l’immaginazione, ma sulla
concretezza di quello che stiamo diventando. Loi produce una fotografia del
reale che, attraverso gli strumenti del bello e del genio creativo, riesce a
penetrare la nostra comprensione meglio di quanto facciano gli odierni
bombardamenti mediatici quando tentano di raccontarci le nostre esistenze.
La serie di disegni
Autoritratti non consiste, come suggerirebbe il nome, in una variegata
declinazione di ritratti dell’artista, ma è un progetto in cui la vita stessa
si rivela e parla delle sue più vere e tangibili ferite. Le storie esposte
costituiscono ciascuna un frammento malato della nostra società: un pinocchio politico
che si disfa delle menzogne del potere, donne come bambole fragili,
soldati addestrati all’ipocrisia della guerra che genera pace, un bambino in
cerca di protezione e sicurezza come metafora della nostra più nascosta
vulnerabilità.
In bilico fra
artificio e nostalgie naturali, la ricerca di Loi prosegue nelle atmosfere
belliche della “Primavera di Quirra”, dove soldati e macchine si mescolano e
confondono fra i riflessi delle proprie forme senza vita. Un paesaggio
post-bellico, popolato di residui di giochi ancora una volta metafora di una
esistenza effimera vissuta in bilico fra artificio e realtà, si compone pezzo
dopo pezzo in una dimensione priva di spazio e tempo. Il mondo pastorale,
quello sardo, è candidamente vittima di una devastazione portata da lontano, ma
non si arrende e resiste all’usurpazione delle proprie terre. Infine le
immagini bucoliche si mescolano in questo Gioco della guerra in un
microcosmo dove tutto è finzione tranne la morte, perché a Quirra ogni
battaglia è artificio, falso e inutile addestramento alla vita, dove all’uomo
non è concesso di scegliere altrimenti.
L’universo del
giocattolo ricompare nella serie fotografica “Metacity”, dove l’isolamento
contemporaneo è protagonista di una archeologia tecnologica, specchio di una
consolidata modalità di vita. Pezzi di antiquariato informatico popolano una
giungla dove il primitivo alberga fra le rovine di un mondo che è metafora di
tutti noi. Loi costruisce così una città simbolo delle conseguenze del
progresso umano, insinuando il sospetto che i nostri sforzi di evoluzione si
siano risolti in pura regressione, laddove i luoghi e i modi di contatto fra
gli esseri umani non sono più fisici, ma virtuali e la libera espressione
tecnica dell’intelligenza umana ha condotto ad una inconsapevole e tuttavia
consensuale dipendenza dalla macchina.
È il giocattolo,
dunque, il fil rouge di tanta riflessione sulla società contemporanea; il
giocattolo, che simula i dettagli del mondo adulto per renderli accessibili ai
bambini, diviene qui prezioso strumento di indagine: ha il potere di
ridicolizzare la società reale, di metterne a fuoco le contraddizioni e,
proprio in virtù della sua veste giullaresca, ha il privilegio di condurre chi
osserva le sue metafore verso nuovi orizzonti di comprensione e critica delle
tante verità sociali che ci opprimono.
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