mercoledì 5 settembre 2012

AUTORITRATTI_ BAMBINO INTERIORE 2013


Il progetto Autoritratti_Bambino Interiore è una serie di disegni su cartoncino realizzati a pastello, gessetto e grafite. L’intento è di indagare la Nostra società, la Nostra quotidianità, i Nostri paradossi, mettendone in scena alcuni aspetti intimi. Mettere a fuoco la Fragilità della vita di tutti i giorni, ritraendo non il sé dell’artista, il suo volto come terreno di indagine introspettiva,  ma la vita che ci circonda, che si rivela e si mostra nelle sue storture, autoritratto di quello che c’è per strada come riflessione su ciò che stiamo vivendo. Ogni autoritratto è una storia, la storia di una metamorfosi, come una piccola rivelazione del quotidiano, si incontrano così donne fragili che diventano bambole rotte e a pezzi, soldatini di plastica che sparano con armi reali, bambini che stringono una coperta come se stringessero tutto il bisogno di sentirsi protetti e amati, pinocchi dal volto umano stanchi delle bugie che affollano le stanze del potere.
In questo regno di finzione il microcosmo del giocattolo svela la fragilità dell’adulto e del suo mondo plastificato.
 L’idea dell’autoritratto comporta il riflettersi criticamente, la messa a nudo che diventa al contempo rivelazione del lato oscuro. 

SELF-PORTRAITS
Self-portraits _ Inner Child is a project  consisting in a series of drawings on paper, realized with pastels, chalks and graphite. Their purpose is to question Our society, Our everyday life and Our paradoxes by enlightening some of their hidden features. They focus  on our life’s frailty and they do not depict the artist’s self, they do not represent the artist’s face as an inner ground of investigation, but they choose to portray life itself. Life that surrounds us in all its deformations, self-portrait of what’s on our paths as a reflection on what we are living. Every self-portrait is a story, the story of a metamorphosis and a little revelation of everyday life. Each of them is a place where you meet frail women that become broken dolls, plastic soldiers shooting with fake weapons, children holding a blanket to show their need of protection, pinocchios with human faces tired of all the lies that feed the power. In this universe, toys reveal the frailty of adults and their plastic world, while our self-portraits make us reconsider ourselves, critically, by revealing our dark side.





Pinocchio si libera del suo fardello, il suo naso si è plasmato di finzioni e bugie. Un gesto che dice basta alla classe politica e vorrebbe che i Burattini del Potere divenissero Umani.


Il piccolo Linus che si nasconde dentro di Noi, fragile portatore di saggezze ed infinito bisogno di carezze e certezze. L’innocuo e disperato bisogno di sentirsi dire che Tutto Va Bene.




Bambola Fragile rappresenta il tentativo di ricostruire un rapporto che è andato a pezzi, in una poetica del dolore interiore che si nutre di rotture e malsani tentativi di ricomposizione.



Rappresenta l’attimo che precede l’indossare l’elmetto e scendere nel mondo del lavoro, quell’istante in cui raccogli le forze e ti concentri per non commettere errori, per essere efficiente e professionale.. ma alle volte, quell’Istante viene  a mancare e ti ritrovi sprovvisto della tua “armatura”, delle tue sicurezze, e ti senti fragile e insicuro come un bambino che non sa a cosa va incontro.. La nostra generazione vive sul baratro di un perenne inizio, eterni migranti che non possono mettere radici, eterni bambini.



Il Guerriero Sintetico Difensore della Libertà, ovvero la colassale menzogna che attraverso la guerra si possa esportare la Libertà del Popolo. Il Guerriero di plastica è figlio del Dio Petrolio, non ha coscienza,spara dove il Denaro dice di colpire e conquistare. Marionetta inutile.


L’isolamento come via di fuga dalla realtà che ci circonda.

 

Autoritratti.
Un’interpretazione:
di Roberta Sale

Questi non sono ritratti individuali, immagini al culmine della luce come quando una ragazza si trucca, si sente bella e si lascia immortalare per sempre nella propria giovinezza. Non sono le linee lievi con cui le dita di Simone ridisegnano il paese unito nel mito, nella poesia antica, nell’oro risoluto degli occhi.
Qui non siamo nei colori pastello di Pleasantville, dove il dolore era appena un solco tracciato sul viso, un’ombra leggera e familiare, che non recava turbamento.
Questi sono ritratti universali, che del mondo illusorio del gioco rintracciano il potenziale simbolico, l’inizio abissale della paura.  Nelle trame dell’infanzia, nella simulazione degli oscuri rituali adulti, nella ricezione di un mondo che accumula schermi e genera attaccamento insicuro, si riflette il germe distorto di una società inquieta, come sulla superficie liquida di uno specchio, ingresso al fondo sinistro.
Ci sono bambole, bambini, soldatini, fiabe, apparecchi multimediali.
Capelli rossi trascinati da un vento freddo che soffia da est, minaccia di tempesta, cuore scheggiato, impotenza del gesto, gambe forti divelte e scomposte, divaricate da una violenza maschile che prosegue a dispetto delle conquiste e spegne gli occhi delle donne guerriere, le rende giocattolo rotto, rubato dell’anima.
Sguardo triste di cucciolo bagnato che del suo mantello d’eroe fa improvviso rifugio, difesa di sogno in un mondo a misura di adulto, retaggio di fragilità che resiste, si annida nel cuore rimasto bambino.
Guerra di plastica, senza testa né onore, sempre più distante dallo scontro dei corpi e lo scambio degli occhi, dal codice antico che imponeva la tregua notturna e balenava la parola fratelli nella mente del compagno ferito, in ascolto del nemico apparente. Ora la guerra è strategia da lontano, automa sintetico senza pensiero. Ma la potenza del colpo è reale, così come la morte disseminata in silenzio in teatri poco illuminati.
Pinocchio alla fine della sua storia, quando si stanca del gioco, del diritto alla bugia leggera, innocua eppure tagliente come quelle di chi si arroga il potere infantile di rendere il mondo personale scacchiera. Burattino dal volto già umano, depone la fiaba di legno e si affaccia alla vita per come dovrebbe essere, alla via diritta dell’etica che ancora serpeggia sepolta.
Solitudine spessa, che cammina nell’isolamento di musica amica, rabbiosa, come schermo che protegge dal vento, dall’incomprensione adulta, dalla fatica dolorosa dell’incontro, dalle delusioni di un’identità arruffata e incerta, musica che esalta la ferita e così procura sollievo, musica che si accende segreta nell’ora fredda di lezione a suggerire il sogno e portare lontano. E si vorrebbe che uno sguardo sincero fin nel fondo che trema s’avvicinasse piano, scostasse le cuffie, trovasse parole di relazione autentica.
La nostalgia di un incanto perduto e l’amarezza di un tempo stravolto.
La galleria sembra proseguire le stanze ufficiali del palazzo, come ventre che si apre di lato e conduce a smarrirsi. Dai ritratti pastello di abitanti sereni, richiesti al pittore di corte e per questo gradevoli al cuore, continuando a camminare, nella luce che si abbassa e la fine che si perde nel buio, s’incontrano ritratti stonati, visioni oniriche di pittore inquieto ubriaco di quotidiano.  Ora le belle fanciulle hanno gli occhi vitrei dell’oltre amore e il gioco irrompe in mezzo alla vita a dirci forse che la realtà è sogno caotico e folle e il sogno pericolosa metafora del reale.
Ora il quadro ti restituisce lo sguardo, visitatore perduto che calpesti l’illusione del mondo.

            
                                              






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